Executive Coaching: perché è utile per i leader aziendali.

Executive Coaching: perché è utile per i leader aziendali.
Intervista apr 09, 2025 6 minuti
  • Sviluppo dei talenti
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PerformanSe Italia per Leonardo Milan

Quattro chiacchiere con Leonardo Milan, Business Coach (PCC-ICF), Agile Coach e co-founder presso WikiCoaching.

Parliamo di come l'executive coaching aiuti i manager a sviluppare consapevolezza, leadership e performance efficaci.

Recenti analisi pubblicate su Il Sole 24 Ore evidenziano come il coaching aziendale sia uno strumento efficace per affrontare le sfide del management e sviluppare competenze. Secondo la tua esperienza, quali sono i benefici più rilevanti di questo approccio?

Ogni manager ha degli obiettivi, e un percorso con un coach gli dà la possibilità di realizzarli, anche quelli più sfidanti. Il supporto del coach lo aiuta soprattutto nella consapevolezza delle proprie potenzialità di intervento, che si esprime nei piani d’azione tra una sessione e l'altra, e gli consentono di avanzare su questi obiettivi, nel suo operato quotidiano. Oltre al lavoro sulla sua motivazione intrinseca, che è fondamentale per ogni persona.

Il coaching e il business coaching consentono al manager di riflettere su sé stesso e di creare delle strategie professionali.

E’ una meta-cognizione, una riflessione della persona su come ragiona, come utilizza le proprie convinzioni, per andare a creare delle meta-competenze: competenze che, oltre il bagaglio delle soft skills, comprendendo le predisposizioni, le conoscenze e le esperienze acquisite.

Sono le più le aziende che decidono di attivare dei percorsi di coaching per i loro manager, o sono i manager stessi che, in autonomia, decidono di intraprendere un percorso per la loro crescita?

Prevalentemente sono le aziende che decidono di attivare dei percorsi di coaching per i loro collaboratori. Nel mondo anglosassone il coaching è considerato un benefit, le aziende danno ai manager la possibilità di intraprendere un percorso, soprattutto in caso di avanzamenti di carriera. In Italia, ahimè, è spesso usato soprattutto per intervenire quando un manager deve affrontare delle criticità in termini di performance, leadership, capacità di coinvolgimento, di motivazione e di gestione dei collaboratori.

Come se nel mondo anglosassone si usasse più per “prevenire”, in Italia invece più per “curare”.

Purtroppo, spesso è così.

Una ricerca dell'agenzia Capterra riporta che il 77% dei middle manager dichiara di non aver ricevuto formazione prima di una promozione, e si sentono stressati nel gestire una situazione per la quale non sono stati preparati. Come interviene qui il coaching?

Aiuta i manager ad apprendere… a formarsi. L'apprendimento non è legato solo alla mera acquisizione di conoscenze o di ricette/strumenti, ma anche alla consapevolezza della persona, alla sua motivazione a imparare e mettersi in gioco in situazioni nuove e impreviste.

Il coaching è un percorso alla scoperta del proprio potenziale, della propria area di sviluppo prossimale, attraverso il quale capire anche di che cosa avrebbe bisogno, in termini di formazione.

Gli assessment che possono essere applicati, come il bilancio di competenze, vanno ad analizzare le aree su cui il manager può contare per affrontare le sue sfide, e le soft skills per le quali potrebbe avere maggior bisogno di supporto formativo. Per poi attuare degli adeguati piani di apprendimento.


A tal proposito… tu utilizzi gli strumenti PerformanSe nelle sessioni di coaching. Quali sono gli aspetti di questi strumenti che ti aiutano nel tuo lavoro?

Utilizzo gli strumenti PerformanSe da cinque anni. Ho trovato uno strumento che considero più completo rispetto a tutti quelli da me utilizzati in passato: mentre con gli strumenti di altri editori era necessaria la somministrazione di più test per avere un quadro esaustivo, PerformanSe restituisce l’analisi di tanti aspetti diversi della persona in un unico report, grazie alla sua multidisciplinarietà.

Lo somministro sempre prima di iniziare percorsi di coaching, in programmi di formazione manageriale e di crescita per i responsabili di funzione e di reparto.
Le persone si rispecchiano nei risultati e, allo stesso tempo, possono essere positivamente sorprese da alcuni loro aspetti a cui non pensavano, che non immaginavano.

Soprattutto per quanto riguarda il contratto psicologico, un elemento molto importante. E anche le motivazioni: nelle prime tre, che sono le principali, si riconoscono facilmente, mentre quelle con un punteggio inferiore suscitano interessanti spunti di riflessione.

Per non parlare della preziosa indicazione sulla flessibilità comportamentale. Per esempio, guardando la flessibilità sulla dimensione del bisogno di Appartenenza, confrontata con quella del bisogno di Potere, comprendi come questa tensione tra questi due bisogni moduli il comportamento della persona, facendolo oscillare in base alle condizioni che si trova a vivere nel lavoro. Vedi come si “muove” nelle varie condizioni, con i collaboratori o con i colleghi, e vedi come l’estensione di questa flessibilità esprima anche il suo comportamento “situazionale”.

Il coaching in Italia è in crescita, però, come dicevamo prima, rispetto ad altri Paesi è ancora sottovalutato e non ancora così diffuso. Secondo te, quali possono essere le cause, e quali azioni si possono intraprendere?

Faccio parte della International Coaching Federation, che riunisce circa 40.000 coach nel mondo e un migliaio circa con le credenziali ICF in Italia, ed è un fenomeno su cui riflettiamo anche noi.

Ritengo che, da una parte, ci sia poca informazione e una mancata conoscenza da parte delle aziende delle capacità del coaching professionale di generare risultati di apprendimento, miglioramento, cambiamento… con una percentuale di successo superiore all’80%, e con un altissimo ritorno dell’investimento.
Oltre alla presenza di tanti professionisti che lavorano come coach al di fuori dei parametri internazionali dell'ICF, che abbassano il livello di qualità e la reputazione della categoria all'interno delle aziende.
L’associazione a cui appartengo, da anni svolge attività di divulgazione, conferenze aperte alle aziende, con il coinvolgimento di HR e manager.
Non si investe abbastanza. Il coaching è poco remunerato, in particolar modo all’interno dei programmi di formazione finanziata. Nel coaching One to One il contributo pubblico si abbassa. Si crea così un circolo vizioso: la bassa retribuzione abbassa il livello della qualità che fa sì che non ci si voglia investire più di tanto.

Le aziende che si rivolgono al coaching lo vedono spesso uno strumento per risolvere una situazione critica, e meno una leva strategica per migliorare. Si “rattoppa”, invece di investire nella crescita. In che modo il coaching può cambiare questa percezione?

Facendo riferimento alla mia esperienza professionale, negli ultimi quattro anni ho deciso di evolvere la mia offerta come coach: dal business coaching all’agile coaching, appunto.
Ritengo che con l’agile coaching si possa intervenire anche in termini di change management e di change leadership, cioè in processi di cambiamento e nei processi di evoluzione della cultura e della gestione organizzativa aziendale: il modo in cui le persone lavorano assieme, andando anche oltre le funzioni e i silos.
Questa potrebbe essere, secondo me, una possibile evoluzione.

Un'altra evoluzione possibile, che però secondo me è purtroppo mancata, è la certificazione, con la norma UNI 11601, dell'attività e delle competenze di coaching, che si è invece fermata solo alle modalità di erogazione del servizio.

Con quali figure lavori principalmente? E quali strumenti utilizzi?

Lavoro principalmente con il top e middle management: lo supporto nell’organizzazione dei team, in un’ottica di leadership. Lavoro anche con i responsabili di reparto nelle aziende manifatturiere: sono realtà in cui c’è la necessità che i responsabili di reparto assumano un ruolo sempre più manageriale, e in progetti più ampi e trasversali.

Gli strumenti di PerformanSe che utilizzo sono Echo e Talent: l’utilizzo combinato di questi due strumenti mi dà il quadro completo di cui ho bisogno per lavorare con le persone.

Tre gli elementi chiave, le 10 dimensioni (Estroversione, Affermazione, Rigore, Combattività, Appartenenza, Vigilanza, Ricettività, Dinamismo, Intellettuale, Realizzazione, Potere), le motivazioni, lo stile di leadership. Un report che consente di andare a fondo e di attuare molte attività concrete di sviluppo.

Per concludere, mi dici che cosa ami del tuo lavoro?

Con gli anni e con l’esperienza sono diventato più empatico con me stesso e quindi anche con gli altri.

Quello che amo del mio lavoro è avere la possibilità di accompagnare le persone nella scoperta e nello sviluppo concreto del proprio potenziale (che io intendo: quello che c’è già), non solo per migliorare la performance professionale, ma soprattutto per accrescere la loro consapevolezza personale, le loro competenze relazionali e professionali.

Quando gli individui si sentono coinvolti, realizzati, quando possono esprimere anche nel lavoro i propri valori, scopi e obiettivi personali, possono contribuire con entusiasmo alla crescita dell'intera organizzazione, rendendola più agile, innovativa e competitiva.

In altre parole, si può passare: dall’io sono all’io siamo e poi dal noi al tutti noi

So che questo a volte mi fa incontrare l’impotenza appresa, che ogni organizzazione produce, e anche le resistenze che ogni cambiamento genera. Ma è proprio questa sinergia tra realizzazione personale e crescita collaborativa e organizzativa che può rendere ogni mio intervento, sia come coach che come trainer, stimolante e significativo.

Gli strumenti di assessment sono preziosi, perché permettono di valorizzare e trasformare le risorse individuali in valore collettivo.

Il mio motto in questo caso è: “si cambia ciò che si può misurare”.

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